Il segreto d’ufficio dell’investigatore privato.
Molto spesso mi viene chiesto se le informazioni in possesso dell’investigatore privato siano coperte dal segreto e in tal caso a chi possono essere rese ostensibili.
È di sicuro ausilio il testo letterale dell’art. 622. C.p. il quale prevede che “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da € 30,00 a € 516.”
Atteso quanto espresso dalla norma sopra citata, si può certamente affermare che l’attività posta in essere dall’investigatore privato ricada indiscutibilmente in questo disposto normativo e ciò anche per costante giurisprudenza.
In questa direzione appare utile riportare uno stralcio della sentenza della Cassazione Sez. VI n. 8635/1996 la quale afferma che “l’art. 622 c.p. deve essere riferito a notizie apprese per ragioni d’ufficio e riflettenti situazioni soggettive di privati e delle quali colui che di esse è depositario in virtù di un suo status professionale in senso lato (ufficio, professione o arte), deve assicurare la riservatezza”.
Inoltre la normativa del codice penale citata, va letta in combinato disposto con l’art. 200 c.p.p. il quale prevede al suo primo comma che “Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:
- a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
- b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai;
[……]
Tale disposizione quindi afferma incontrovertibilmente che l’investigatore privato non può essere costretto a testimoniare in forza della norma sopra citata e qualora decidesse comunque di farlo, dovrebbe chiedere il consenso da parte del proprio committente dell’indagine a cu si riferisce la testimonianza per evitare di consumare il reato di cui all’art. 622 c.p..
Premesso quanto sopra premesso, si deve anche rilevare che il reato di cui oggi ci occupiamo si consuma quando la rilevazione delle informazioni, coperte dalla riservatezza, vengano comunicate a terzi estranei “senza giusta causa”.
Pertanto se il richiedente è un’agente di polizia che vuole conferire con l’investigatore privato in quanto dallo stesso vuole raccogliere delle “sommarie informazioni” (come previsto dall’art. 351 c.p.p.), allora ben si può affermare che sussistite una giusta causa (giudiziaria) che permette all’investigatore privato di conferire con l’agente di P.S. e quindi di rilevare i contenuti di un’indagine.
Investigatore privato, un mestiere complicato.